Il pomello della porta è insolitamente appiccicoso e quella
sgradevole sensazione non è dovuta alla mano un po’ sudata per l’ennesima
giornata afosa; probabilmente Elena non si è lavata le mani dopo essersi
dedicata alla cura del giardino. Alessandro non ha mai sopportato chi imbratta
le cose ma con Elena ha sempre lasciato correre. È consapevole che quella
stempiatura un po’ troppo accentuata e quel fisichino esile da impiegato triste
non sono sufficienti a meritarsi una donna così bella quindi pragmaticamente
evita di romperle i ciglioni. A 31 anni ha però deciso che lei meravigliosa
ventiseienne neolaureata merita un uomo un po’ più avvezzo alla cura di sé
stesso. Si è iscritto in palestra, il fisico pare quello di sempre ma si sente
più forte, il sesso dura di più ed è certo che lei ultimamente venga prima, più
spesso e più intensamente: un altro mese di palestra e si sentirà Rocco
Siffredi, alla faccia dell’evidenza.
Mentre gira quel pomello appiccicoso si chiede cosa se ne
facciano di una casa così grande; già, perché Alessandro sta già pensando al
tragitto porta-cucina, dove prenderà la spugna e la bagnerà, al tragitto
inverso, alla pulizia del pomello e al terzo viaggio per sciacquare la spugna.
Non hanno figli ma quella villetta recuperata da un’antica
fattoria, 10 volte più bella di quegli aborti recenti sull’altro lato della
strada provinciale, sarebbe abbastanza grande per ospitarne comodamente 5. lui
ha 31 anni ma non è un giovane, di figli non hanno mai parlato, lei si è
laureata da poco, era sottinteso che non ne volessero prima, ma adesso?
Alessandro ha fatto progetti di allargare la famiglia, ha sognato lei col
pancione con lui all’ikea a scegliere i mobili e si è già visto bestemmiare
perché gli avanzano troppe viti. Non le ha mai confessato questi sogni da
piccolo carpentiere e meno che mai quelli da giovane papà. La paura di perdere
una donna che è convinto di non potersi permettere lo sta lentamente chiudendo
in sé stesso.
Mentre si avvia verso la taverna del piano terra sente un
rumore dalla loro camera, si rallegra a saperla sveglia e si chiede se
finalmente non abbia deciso di affrontare le notti afose con la finestra
aperta.
L’acqua scorre lentamente come al solito ed Alessandro per
la ventesima volta si ripromette di chiamare l’idraulico. Ritorna con una
spugna verso la porta, pulisce e torna indietro. Guardando lo studio del piano
terra si fa pena da solo scoprendosi a pensare che potrebbe invitare la madre a
stare con loro. Scaccia un pensiero che lo fa sentire più antico che vecchio, posa
la spugna nel lavello e si chiede se ha effettivamente sentito Elena
domandargli qualcosa.
Elena ha scoperto il sesso troppo tardi, con suo grande
rammarico, e lo ha vissuto quasi a voler recuperare il tempo perduto. Ha avuto
pochi uomini prima di Alessandro; dopo un’adolescenza scivolata via segnata
(poco) da molte guance arrossate, pochi baci e un paio di mani sulle tette,
Elena a 19 anni ha scoperto il sesso: il ragazzo della sua vita, lo pensano
tutte, non indovina nessuna. Tommaso era innamorato più di lei ma dopo 3 anni,
finiti i flussi di ormoni, sperimentato tutto lo sperimentabile del sesso etero
a due, Elena voleva provare altri fisici, altre forme, altri sapori; Elena
voleva altro e chi se ne frega se mi chiami amore.
Poche esperienze ma molto coinvolgenti, con uomini e donne,
fino a cadere tra le braccia di Alessandro. Si erano conosciuti tre anni prima,
per caso, lui voleva provarci con l’amica di lei, ma in mezzo al casino di
quella discoteca elena ha creduto volesse il suo numero. Che lo abbia creduto o
voluto credere, cominciarono ad uscire ed Alessandro abbandonò presto
l’incredulità per una passione per il sesso che non traspariva per sostituirla
con l’apprezzamento per l’apertura mentale, e non solo, di lei.
Scienze delle Comunicazioni viene spesso ridefinita Scienze
della Disoccupazione da chi la frequenta, Elena ha cominciato a lavorare da 2
anni come segretaria e la sua ambizione è sufficientemente bassa da permetterle
di confermare le dicerie: quel pezzo di carta non le servirà mai a niente.
Elena è una ragazza sveglia, mette da parte qualche soldo e con alcuni amici
progetta di fondare una piccola società pubblicitaria; preoccupatasi fin da
subito di relegare agli altri ogni lavoro creativo o di responsabilità si è
sempre espressa chiaramente: “Io e i soldi li metto, ma fo lla segretaria e un
mi cerhate per illavoro difficile” con quell’accento fiorentino che ha
resistito tenace anche al corso di dizione per il teatro, ai tempi dei sogni di
una ragazzina.
Elena geme, suda, si contorce in quel brivido di piacere cui
ha sempre paura di abituarsi; non gli avrebbe dato nulla appena spogliato e
raramente il riscontrare il proprio errore era stato così gratificante. Non era
così convinta di continuare con questa storia, ed irrimediabilmente si
ritrovava a fare di questi ragionamenti in piano amplesso, per quei pochi
istanti prima che l’eccitazione partisse verso uno di quegli orgasmi di cui si
era abituata a contentere l’aspetto acustico. Elena ha fatto il suo, lui le
ansima sul collo, lei sa di avere qualche secondo prima di abbandonarsi verso
un nuovo orgasmo e si congratula con se stessa per aver scovato un talento ben
nasconsto, e subito eccolo là, il paragone con Alessandro, con il quale
praticamente simula quello che ha imparato con Michele: ma prima che il
paragone la conduca sulla via razionale del “lascialo perdere”, ecco che la
concentrazione si sposta sul leggero scivolamento dei corpi sudati; lui non la
bacia mai quando fanno sesso, scende a cercare il seno sinistro con la lingua
mentre lei impazzisce concentrandosi sui suoi umori, su quanto sia bagnata e
quanto facilmente le stia scivolando dentro e fuori.
I fari dell’auto di Alessandro in manovra illuminano il
lampadario.
Elena sa di cosa si tratti ma rassicura Michele, vuole
quell’orgasmo; lui non così tranquillo ed alza il ritmo, lei viene
contorcendosi e spostando il comò sulla sinistra del letto, adesso un attimo di
lucidità, sa che Alessandro potrebbe aver sentito un rumore ma vuole sembrare
sicura. Soddisfatta della propria serata lo lascia sfilare e si cimenta in una
di quelle fellatio da film porno che non aveva mai provato prima. Obiettivo:
farlo venire subito. Lei mette in pratica ogni cosa mai vista e provata
nell’arte del sesso orale, si masturba anche, perché sa che ecciterà la sua
vittima: la sua eccitazione è tripla, gestisce se stessa ed il proprio orgasmo,
gestisce l’uomo ed il suo orgasmo, sa che Ale li può scoprire. Quando sente
gonfiarsi il membro di Michele sa cosa lui le sta dicendo ma non lo ascolta, continua
con foga, un po’ è la curiosità, un po’ è l’eccitazione, un po’ sa che non
perderà tempo a pulire. Lui si inarca in uno spasmo e sbatte la porta
dell’armadio, lei non molla, lo vuole vedere soffrire per il suo orgasmo e non
le importano i passi sulle scale, ci sono solo lei, Michele e quello strano
sapore che sta andando giù mentre ancora lei non lo molla.
Elena sa che quelle sono le chiavi sulla cassapanca in cima
alle scale e sta raccogliendo il più velocemente possibile i vestiti di
Michele.
Alessandro sente che Elena sta facendo qualcosa e vede la
luce accesa, è più sorpreso che non incuriosito ma accelera il passo.
Mancano pochi passi alla camera.
Michele si sta calando aggrappandosi alla pergola, hanno già
provato, regge, ma è nudo, i vestiti glieli butterà lei ma deve finire di
raccoglierli.
Alessandro ha la mano sulla maniglia e per un secondo valuta
l’idea dello scherzone: “buh”, aprendo di scatto. Lascia perdere.
Elena vede abbassarsi la maniglia e lancia fuori dalla
finestra quello che ha raccolto.
Palo. Una scarpa colpisce il davanzale e ricade nella
camera. La porta è già socchiusa e il piede di Ale sta entrando.
Elena si butta a terra e con la maestria del più scafato
degli interbase lancia fuori la scarpa sperando che non faccia rumore cadendo.
Alessandro la sorprende a terra, sudata, l’mp3 spento nelle
orecchie e i pantaloni della tuta indossati di corsa. Non si meraviglia di
trovarla in topless, è vanitosa e sa di avere un seno che molto si avvicina
alla perfezione. Alessandro si è sempre eccitato molto a vederla fare
ginnastica e si è sempre eccitato molto a vederla in topless, Elena lo sa, e sa
che sarà sesso anche con lui.
Sono le 22 e la giornata nuvolosa ha introdotto una notte
più che buia, Michele nel piazzale si riveste di fretta e un brivido gli sale
lungo la schiena, gli arriva al collo e lui si aspetta che il terrore glielo
spezzi. Si gira di scatto, tutte le finestre sul piazzale sono buie ma lui non
si prende in giro, qualcuno lo sta fissando; si infila i pantaloni, trova le
chiavi della moto che nasconde dietro il cantiere nell’ex fienile e raccoglie
il resto delle sue cose nel maglione. Sente muovere il ghiaino, adesso ha
paura, da dietro troppi angoli può saltare fuori il suo assalitore, non può
attraversare il piazzale, sarebbe facilmente visibile dalla finestra di Elena,
ma la sensazione di essere spiato non lo abbandona. Cerca con ansia di
individuare una vecchina insonne o due giovani appartati in macchina, figure
innocue, spera di darsi del coglione per essersi spaventato senza motivo.
Niente.
Michele si avvia, non rasente al muro come logica avrebbe
voluto, si scosta di un paio di metri al primo angolo, quando si alza il vento.
I teloni e le corde del cantiere, le imposte, gli alberi; chiunque potrebbe
avvicinarglisi alle spalle senza farsi sentire. Michele si volta di scatto e
nel buio di una notte senza stelle una sagoma si dilegua. Non sa neanche se
quella sagoma era un cespuglio, un telo, un animale, un assassino, un
sonnambulo o se se l’è soltanto immaginata, ma adesso è terrorizzato,
attraversa il piazzale di corsa, mette in moto senza prendere il casco o
mettere via i vestiti ed un brivido ancora più raggelante del precedente lo
blocca. Click. Cilecca. Non ha mai visto una pistola in vita sua ma nei film ha
sentito quel rumore, non sa se è un colpo a vuoto, la scarrellata dell’arma, la
sicura disinserita, cosa cazzo potrà mai saperne lui?
E’ terrorizzato, si volta lentamente, dovrà fare
centoottanta gradi il suo sguardo; nel suo percorso incontra casette, portoni,
finestre aperte e socchiuse, incontra quell’orribile porcospino di metallo dove
la vicina di Elena immagina gli ospiti gradiscano pulirsi le scarpe, incontra
le bici accatastate dei bambini dell’ultima famiglia arrivata, scopre la fine
della fattoria e perde il senso della profondità: il bosco non sembra a 100 metri , ci si sente
dentro, tormentato dal terrore. Quando si è girato del tutto eccola; la cosa di
cui aveva più paura. Niente. Qualcuno si nasconde. Michele mette in moto di
corsa, se ne fotte del rumore e degli accordi presi con Elena per spingere la
moto spenta, il bicilindrico Ducati urla la propria natura, non si volta, ma
sente su di sé quello sguardo.
A tre chilometri si ferma, una risata isterica lo aiuta a
stemperare la tensione. Controlla ansioso di non aver perso niente. Manca il
suo berretto da baseball. Adesso torna il terrore, Michele non vuole tornare
indietro e si accontenta di credere che se anche lo dovesse trovare Alessandro,
quello è un banalissimo cappellino blu, ne esistono milioni. Michele si
riveste, mette il casco, ingrana la prima ed è in quel momento che sente
freddo. I fari di un’auto scollinano e si dirigono verso di lui. Michele è
paralizzato, non riesce a staccare la frizione e i fari che vede nello
specchietto sinistro della sua Ducati sono sempre più vicini. Ci siamo, Michele
è già rassegnato quando l’auto gli passa accanto ignorandolo. Si sente un
idiote, un sospiro lungo un chilometro lo rilassa un po’, lascia la frizione,
da gas e si dirige verso casa.
L’asfalto scorre veloce sotto la pancia della piccola Mini
blu, il silenzio del caldo estivo della campagna toscana cozza contro il
parabrezza che divide due mondi opposti. Stella tiene lo stero a palla e
ascolta di quella musica commerciale che non ti aspetteresti mai da un’artista.
Non si è mai descritta come persona particolarmente fredda ma si sente un po’
stupida questa volta ad essersi lasciata ferire così profondamente. Alla fine
Michele è un uomo ed è normale, alla fine ciò che è stato è stato ma il passato
si può cancellare, basta cancellarne il ricordo, e poi cancellare il ricordo
dal futuro. Col passare dei chilometri l’asfalto si fa più nitido, granuloso,
la piccola Mini sta tornando a velocità meno conflittuali con il codice della
strada e con le abilità del pilota.
Parcheggia nel piazzale, spenge lo stereo, tira il freno a
mano, spenge l’auto, toglie la cintura di sicurezza, esce, chiude, ed attiva
l’allarme.
I polsi fanno male, la testa pulsa, le gambe sono deboli,
sente un forte bruciore dal torace.
Riprende lentamente i sensi e si rende conto che qualcosa
non va. La mente riparte dal soggiorno, dalla costrizione e dall’odore
pungente. Lentamente riapre gli occhi, è freddo, ma sente bruciarsi, sente
male, non capisce, caviglie e polsi le sono costretti, la schiena, nuda,
appoggia su di una superficie metallica ed inclinata, la testa sta guardando il
soffitto. La luce entra a lame, tagli non regolari, probabilmente definiti da
una finestra rotta. Il soffitto è lontanissimo e non pare in buono stato di
conservazione, quella pare una capriata. Mai capito un cazzo di architettura,
ma le pare di essere in un capannone industriale di un centinaio di anni fa,
una tabaccaia forse, o qualcosa di simile, o chi cazzo se ne frega,
l’importante è capire perché, dove, come, quando. Alza lo sguardo e vede i
polsi incatenati a catene che lasciano un gioco di pochissimi centimetri.
Capisce che la tavola inclinata su cui è sdraiata è di metallo e di grandi
dimensioni. Alzare il collo le provoca un fortissimo dolore al torace, che
sente stranamente leggero, il viso si contrare in una smorfia di dolore. Le
occorre del tempo per sentirsela di controllare cosa cazzo è successo. Alza il
capo a guardare in basso, ormai ha capito di essere nuda e di avere anche i
piedi bloccati, ha bisogno di qualche minuto per realizzare cosa sia successo.
Due macchie di un rosso vivo bordate di un nero di sangue coagulato e polvere
le ornano il torace, inchiodati in un pannello di legno poco distante i suoi
seni. Urla di dolore, di paura, di disperazione, e perde nuovamente coscienza.
Stella ha imparato a cucire sul momento, e non dimostra una
gran classe.
Apre gli occhi lentamente e questa volta però scatta, con il
terrore dell’ultimo ricordo prima di addormentarsi. Vincolata cerca di alzarsi
ed urla per il dolore, una testa bionda è china su di lei, e comincia ad
implorare, sicura di essere al cospetto del suo salvatore.
Stella saluta. Sempre stata educata.
Basta l’espressione della bionda per gettarla nel panico:
soccorrere un cazzo, è questa troia che mi ha legato qui.
Sente dolore, non è più in grado di capire da dove le
arrivino i dolori, ma un’insopportabile sensazione di dolore e fortissimo
fastidio le giunge dal bacino.
Vede un grosso ago e uno spago non particolarmente robusto
ma decisamente sporco di rosso allungarsi sotto la mano della sua compagna. Le
occorre qualche secondo per capire veramente cosa vuol dire subire
un’infibulazione. Le urla di terrore e di morte del proprio io donna invadono
l’intero capannone e forse non lo libereranno mai.
Supplica la propria carnefice di chiamare i soccorsi, di
liberarla, almeno di fermarsi. Forse avrebbe potuto scegliere meglio le proprie
suppliche.
Stella si ferma, contempla il proprio lavoro certa che non
sia fatto ad opera d’arte ma che il messaggio sia chiaro.
L’ultima volta non c’era quel pannello che adesso lei
nasconde quasi completamente con la propria sagoma. La bionda si alza con un
sorriso sincero, controlla la propria opera, infibulazione e asportazione dei
seni, guarda Elena e il sorriso si apre di più. Urlare, gridare, chiedere per
quale cazzo di motivo stia succedendo tutto questo non produce alcun risultato.
Quella troia fa un cenno con la mano, che cazzo vuole? Saluta? Dove cazzo vai
stronza? Si sposta e va verso l’uscita del capannone, che in questo momento è
la maggior fonte di illuminazione del magazzino.
Dagli insulti passa alle richieste di spiegazioni, poi alle
suppliche, in quei 7 secondi non lascia niente di intentato e le urla la
piegano in due. Il dolore, la fatica, la paura, la disperazione, Elena si sente
crollare, implodere, riporta la testa dritta; e capisce.
Urla di paura come non pensava più di essere in grado di
fare, e infatti non ce la fa, sviene di nuovo.
Si risveglia nella disperata rassegnazione di chi non ha più
niente da essere. La luce che entra dalle finestre in alto è ormai rossa, e
molto scura. Davanti a sé il pannello di legno che aveva solo intravisto prima.
Un pannello di legno verticale, due piccole mensole sulla sua destra.
Inchiodato alla parete il corpo di Michele, su di una mensola la testa,
sull’altra il pene e i testicoli.
Il corpo decapitato, evirato e squarciato probabilmente con
una motosega.
L’ululato di un lupo non molto lontano, il portellone del
magazzino socchiuso, la speranza di essere salvata deve fare presto a lasciare
il posto alla consapevolezza di avere poche ore per salutare se stessa.
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