Mi svegliai con un mal di testa insopportabile, atterritto
dal pulsare ritmico ed incessante delle meningi decisi di trascinarmi fuori in
fretta, nella speranza che l'aria fresca del mattino potesse alleggerimi le tempie.
"Ho bisogno di uscire e prendere un po' d'aria".
Mi sembrò particolarmente strano quel giorno spostare il
tubo di ghisa che puntella il portone di metallo che ho addossato all'ingresso,
non pesante, anzi, lo sforzo mi parve irrisorio, e quel portone pesa quasi 100
kg, ma sembrava come se si piegasse sotto la mia presa. Il sole mi arrivò in
faccia come un tir, era più tardi di quanto pensassi, e si era già alzato
troppo sull'orizzonte: non mi è mai piaciuto il sole; anche se al fastidio che
mi ha sempre procurato ha sempre coniugato una strana sensazione di benessere,
qualcosa che farebbe pensare ad una memoria sopita; forse "sempre"
non è la parola giusta, forse un tempo non era così. "C'è qualcosa che non
va, prendo il giornale poi mi fermo al bar per un caffè, sicuramente mi
riprendo".
La giornata cominciò piuttosto male, la mia vicina stava
tornando a casa con la spesa, si girò verso di me e rimase pietrificata come
alla vista della Medusa, le buste di plastica troppo cariche le stavano
solcando le dita, le ultime falangi ormai di un rosso quasi preoccupante.
Accennai un sorriso, e mi parve strano, lei in preda al terrore lasciò andare
le borse e scappò in casa. Ancora ricordo distintamente il rumore della
bottiglia di passata di pomodoro che cozza sul marciapiede e si rompe, il rosso
vivo che ha lentamente preso proprietà del marciapiede mentre un'arancia ha
deciso di testimoniare che il piazzale effettivamente è un buon compluvio verso
la caditoia della fogna laggiù in mezzo. Non mi ricordavo che la città fosse
così rumorosa. Uscii dal cancello ma la strana sensazione di non avere un
congruo legame con la fisica delle cose non mi abbandonava: mi sembrava di
camminare in modo asimmetrico, eppure non si dimentica come si cammina, non è
normale, e poi i miei passi li facevo, coprivo la distanza che mi ero prefisso
di coprire. "Sarà un malessere generale per colpa del mal di testa".
Mi scoprii però spiazzato: non sentivo più mal di testa; ma decisamente non mi
sentivo bene.
In fondo alla strada la solita auto del solito coglione che
ha scambiato il vialetto per una rotonda, sul sedile di dietro due occhietti
vispi che si sbarrano a guardare nella mia direzione, il Tegolino si spiaccica
sul vetro lasciando uno di quegli aloni che il padre si divertirà poco a
pulire; mi girai di scatto, ma non mi accorsi che ci fosse qualcosa di così
terrificante.
Di certo però mi accorsi che la mia irrequietezza
continuamente cresceva.
Il passo divenne più deciso e riuscii ad avvicinarmi
all'edicola con una certa serenità, mi resi conto di quanto indifferente ti può
essere il tuo mondo: avrei salutato i miei vicini, tre diversi vicini in tre
occasioni diverse, in quelle poche centinaia di metri, ma il primo, il figlio
adolescente dei vicini, camminava immerso in quel cazzo di telefonino da 700
euro. La seconda, una vecchina col cane che non ho mai capito chi fosse, ma che
erano anni che incrociavo, mi sembrò quasi facesse finta di non vedermi. La
terza fu quella che mi colpì maggiormente: la signora maghrebina che si è
trasferita ultimamente dall'altro lato della strada; camminava avvolta nel suo
abito, non ho mai capito da quale parte del maghreb arrivasse nè come si
chiamasse quel tipo di abito, di certo poetico oltre quel limite che ti strappa
un sorriso per l'onore concesso ai tuoi occhi, teneva per mano il bambino, mi
vide, incrociò il mio sguardo, accennò un sorriso, un sorriso insolito, più che
cortese direi compassionevole, passò una mano sulla testa del figlio. Ancora
ricordo emozionandomi quella finestra di vita, una foto che vale più di tanti
filmati.
Fu una volta girato l'angolo che la mia irrequietezza tornò
a galla, che rapidamente cercò di tramutarsi in paura, subito dietro l'angolo
mi imbattei in tre ragazzine a spartirsi, non ricordo bene come, un lettore
mp3, forse avevano un qualche tipo di sdoppiatore, interruppero il canto di una
di quelle canzonette insulse partorite dietro le quinte di un reality per
vendere dischi a ragazzine come quelle, lo interruppero per lanciarsi, due di
loro, in un urlò terrorizzato, si voltarono e scapparono nella direzione
opposta. Rimasi spiazzato, mi guardai intorno "Oh cazzo, e se ha visto
qualcuno? Ora sembra che abbia fatto loro qualcosa, che mi invento? Che faccio?
Proseguo? Faccio finta di niente?", vissi un momento estremamente
fastidioso, un imbarazzo misto a spavento che mal si racconta a chi non l'ha
provato. Ma il peggio venne dopo, due signore dall'altra parte della strada si
voltarono a guardarmi, vidi tutta la scena, si voltarono incuriosite, bastò
loro un secondo per girarsi terrorizzate, abbassare lo sguardo, allungare il
passo e levarsi dai coglioni.
Allungo il passo a mia volta, supero il distributore di
benzina, ormai gli sguardi dall'incuriosito all'atterrito che mi accompagnano
sono diventati la norma, l'insegna della farmacia entra nel mio campo visivo:
27 gradi, in effetti fa caldo, 27 aprile 2016, in effetti è il 27 a...2016?
"Stupidi tabelloni elettronici, tiltano sempre!".
Decido di volgere lo sguardo al traffico mentre cerco di
coprire gli ultimi 200 metri per l'edicola. "Ma che macchine sono
queste?". Poi una Punto, una Mito, uno di quei furgoni da sempre
familiari. "Qui qualcosa non torna, da dove sono venute fuori quelle auto
di prima? Forse era qualche modello in lancio". Ultimamente non seguivo
molto il mercato dell'auto. GA 124 TO. "Ma che cazzo di targa è???".
Mi misi a correre, cominciai ad entrare nel panico, non mi
veniva molto spontaneo, la mia andatura era decisamente caracollante, ma la
velocità era aumentata e mi bastava questo, avevo bisogno di un giornale, ormai
volevo solo sapere che giorno fosse.
Poi la fine. Passo accanto ad un palazzo a vetri specchiati,
facciata a Nord, nessun riflesso, solo una sagoma deforme, un ominide
completamente sfigurato, una pelle praticamente fusa, la schiena incurvata, una
gamba estremamente più sviluppata dell'altra, ma molto più corta, due occhi
spaventosamente incavati, lo scalpo tagliato via e la calotta cranica segnata
da macchie di sangue coagulato che raccontavano di un passato un po' più
nascosto del presente. La pelle sembrava come porosa, bombardata, ustionata,
forse figlia di radiazioni, fu a quel punto che mi guardai le mani, 4 dita, gli
anulari amputati e le ferite perfettamente rimarginate. Indossavo un paio di
pantaloncini ed una camicia che faceva fatica a contenere un fisico
spaventosamente accresciuto rispetto a quello di chi la acquistò, solo a quel
punto pensai di non essermi neanche vestito, ma essere solo uscito di corsa.
Nella vetrina accanto, 5 televisori uno più grande dell'altro mandavano in sincro
un tale che a SkyTg24 cedeva la linea alla signorina del meteo. "Oggi 27
Aprile 2016...".
Fu
allora che realizzai di non aver vissuto per 5 anni precisi, e di essere
diventato chissà cosa, chissà perché, sopra pensiero mi girai verso casa,
sconvolto, convinto che forse non c'era altro da fare che tornare a casa, casa?
Quella polvere, quella porta strana. Un miliardo di foto degli ultimi 10 minuti
ritornati alla mente a comporre un quadro incomprensibile, struggente,
desolante, terrificante. Mentre mi giro un viso d'angelo, una bambina sorrideva
sotto al cappellino bianco, poi vide me, il terrore la avvolse, corse dal padre
rimasto 3 passi indietro, ancora mi ricordo le sue parole "Cosa ha fatto
alla mia bambina? Vada via, Mostro!". Mostro. Un mostro che ruba i sorrisi
ai bambini. Una 9mm sotto 2 centimetri di polvere sul tavolo accanto al mio
letto. Quello fu il giorno in cui mi uccisi con l'unico proiettile nel
caricatore di quella 9mm.
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