Il colpo è deciso, secco; lo sbuffo di farina e la forma
adesso più schiacciata della pasta testimoniano di un gran bel lavoro.
Questo fa, colpisce il pane, rintanato in quel buco male
illuminato mentre il mondo sta dormendo fregandosene altamente di chi sia ad
occuparsi di mettere il pane in tavola. Un colpo tira l'altro, il suo collega
ce ne mette due o tre a trovare la forma giusta, lui sembra un automa in catena
di montaggio, ne colpisce uno e poi avanti il prossimo, sotto a chi tocca.
Questo era lui ai tempi d'oro, ben più nobili le sue vittime. Non si è mai
accettato nella sua nuova veste che pure gli è venuto inspiegabilmente
spontaneo vestire; lo sguardo spento con cui colpisce le sue creature non è
figlio del faticoso risveglio all'una di notte ma dell'incapacità di vedersi
li, a soli trent'anni, con quel grembiule infarinato, figlio della
consapevolezza, che man mano si fa strada nella mente, che la colpa sia
soltanto sua. Sono ormai lontani i tempi dei milioni, delle Ferrari, dei
successi, delle donne, del ring, degli steroidi anabolizzanti e dell'ultimo
prelievo alla fine dell'ultimo match, due anni fa.
Il
labiale tradisce una bestemmia, e passa al colpo successivo.
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