Libera i capelli dalla morsa dell'asciugamano lasciandoli
cadere su di una maglietta che testimonia che chi la indossa avrebbe potuto
restare un minuto in più con l'accappatoio. Li scioglie con un sorriso rilassato,
divertito, e malizioso quel tanto che le concede la consapevolezza di essere
almeno carina. Non si sente bellissima, ma se l'è sentito dire spesso, e ora
nel suo agitare i capelli al flebile vento mosso da un ventilatore piuttosto
distante un po' ci crede e un po' ci spera.
Raccoglie un pettine distrattamente appoggiato sul tavolo e
comincia a pettinarsi ostentando una naturalezza che sa essere sensuale e
provocante; accenna due mosse di danza ascoltando una canzone allo stereo e si
avvicina al suo interlocutore con la lentezza che solo chi sa di poter avere un
uomo in pugno può permettersi.
Si piega lasciando cadere i capelli in avanti e con un
rapido movimento torna su e li ricaccia indietro. Appoggia il pettine con ancor
meno attenzione di quanto non avesse fatto l'ultima volta e sposta la mano
verso quella di lui, avanza trascinandolo dietro, è sempre appagata dalla
resistenza nulla che offre allo spostamento il corpo di un uomo quando lei sa
come muoverlo. Solo pochi passi, e chiude la porta dietro di sé. Lascia fuori
una vita e ne comincia un'altra, che ha deciso di non ricordare mai oltre
quella porta, al di là di quella serratura.
Entra in un mondo di gioia, di soddisfazione carnale, di
alienazione da sé e da una vita che non ha mai saputo condurre se non per
compartimenti stagni. La porta si richiude, il suo ospite è uscito, lei rimane
da sola, sul letto, nuda, fuma una Marlboro, sa che piangerà prima di dormire.
Si alza e dalla finestra lo guarda allontanarsi sulla sua bicicletta in uno
strano intenso rossore da tramonto estivo. Spenge la sigaretta. Si siede sul
letto, prende la foto che ha sul comodino e guarda la bambina che sua madre
fotografò ormai quasi 20 anni fa. Piange. E si sveglierà con un sorriso.
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