Accatasta la legna senza un'effettiva preoccupazione di non
poter finire il proprio lavoro mentre il freddo sole di dicembre si accinge a
salutarlo. E' dal primo mattino che ha iniziato il suo lavoro e pare non
accettare serenamente il fatto che 50 anni prima avrebbe impiegato la metà del
tempo a fare il doppio del lavoro. Mentre cerca di far finta di non accorgersi
che la geometria della sua catasta è piuttosto personale un urlo richiama la
sua attenzione dalla casa in fondo al campo. Fine. La giornata è finita, una
smorfia ne sfigura il volto mentre si rassegna ad abbandonare la sua vita e
rinchiudersi in quella vita che le convenzioni sociali hanno voluto per lui.
Quel ramo stroncato è praticamente ormai messo a posto e non
è così dispiaciuto di non aver finito ed essersi lasciato gli onori del
successo a domani.
Guarda le sue mani, mani che raccontano di una vita antica
disegnata da mestieri antichi, e sorride nel ritrovare se stesso in esse.
Infila i guanti che non indossa mai nella tasca posteriore dei pantaloni,
ripone la sega nella cassetta, che impugna, insieme ad un'accetta troppo
piccola per il lavoro richiesto, nella mano sinistra. Saluta la neve come si
saluta il degno avversario che ti ha offerto una sfida nella quale forse non ti
saresti più misurato, con un ghigno rispettoso; con la mano destra estrae quel
piccolo congegno che il nipote ha preteso imparasse ad usare, aggiusta con poca
perizia le cuffie e preme il bottone tondo. Via via, vieni via di qui, niente
più ti lega a questi luoghi...
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